Stravinsky Igor
Pulcinella – Jeu de cartes
Registrazioni eseguite dal 1975 al 1979 e rimasterizzazione effettuata nel 1988.
Stravinski: Pulcinella . Gioco di Carte
Stravinski, che dal 1914 viveva in Svizzera, si recò nel 1917 insieme alla compagnia di Diaghilev a Roma e a Napoli. Qui Diaghilev rappresentò tra l’altro Les femmes de bonne humeur, con la coreografia di Leonide Massine; la musica in questo Balletto era costituita da diversi pezzi di Domenico Scarlatti, che erano stati orchestrati appunto per l’occasione. Geloso del successo riportato da Stravinski con la Histoire du soldat (1918), Diaghilev cercò nella primavera del 1919 di legare ancora a sè Stravinski con l’incarico di una composizione per la sua compagnia di balletti. “Il successo delle Femmes de bonne humeur con la musica di Scarlatti gli aveva suggerito l’idea di presentare un pezzo nuovo basato sulla musica di un altro celebre italiano, che io, come lui sapeva, amavo e ammiravo: Pergolesi. Già durante il suo soggiorno in Italia,
Diaghilev aveva fatto cercare nei conservatori e poi fatto copiare una gran quantità di manoscritti lasciati incompiuti dal Maestro…” – cosi Stravinski nelle “Cronache della mia vita “(1935). Nei colloqui avvenuti più tardi con Robert Craft, il direttore dell’orchestra e musicografo che era suo amico ed assistente, Stravinski ricordò un episodio del suo soggiorno napoletano, durante il quale ebbe modo di incontrare soprattutto Picasso (che poi ideò le scene e i costumi di Pulcinella): “Tutti e due eravamo molto colpiti dalla Commedia dell’arte, che avevamo veduto in una piccola sala piena zeppa e puzzolente d’aglio. Il Pulcinella era un gran babbeo ubriaco ed ogni suo movimento, probabilmente ogni sua parola, se l’avessi capita, erano osceni”.
Lo scenario del Balletto era stato preparato da Diaghilev; nel breve riassunto dell’azione scenica riportato nella partitura è scritto che Diaghilev aveva tratto il soggetto da “un manoscritto, trovato a Napoli, databile forse al 1700”. Si tratta in ogni caso di uno degli innumerevoli episodi che circolavano sulle scene del teatro popolare. Ernest Ansermet diresse nel maggio 1920 la prima rappresentazione di Pulcinella all’Opéra di Parigi. Massine stesso, che aveva curato la coreografia, ballò nel ruolo del protagonista, Tamara Karsavina in quello di Pimpinella. Undici movimenti della musica del balletto (i nn. 1 – 5, – 12,14 -18) furono riuniti da Stravinski nel 1922 nella Suite da Pulcinella (puramente strumentale); in seguito apparvero ancora tre trascrizioni cameristiche (due per violino e pianoforte ed una per violoncello e pianoforte). Stravinski stesso non precisò mai quali fossero state le opere di Pergolesi da lui prese come base del suo Pulcinella; egli osservò soltanto: “Il materiale di Pergolesi consisteva in numerosi frammenti, passaggi e brani incompiuti oppure appena abbozzati, che per fortuna erano sfuggiti all’attenzione dei ricercatori accademici.” Diaghilev e Stravinski, dunque, che si fanno ricercatori e musicologi? Ciò è difficilmente credibile. Infatti qui Stravinski non disse la verità: di Pergolesi non ci sono stati tramandati né frammenti né schizzi; e quanto ai manoscritti, solo due opere di Pergolesi avrebbero potuto esser state studiate da Stravinski: Lo frate’nnamorato, la commedia dialettale del 1732, e Flaminio, l’opera buffa del 1735, dalle quali egli prese sette pezzi in tutto. Tutti gli altri brani – sonate a tre, concertini, suites per clavicembalo e una cantata – erano sicuramente a disposizione di Stravinski in edizioni a stampa. Del resto, oggi si sa che furono scritti effettivamente da Pergolesi soltanto 10 dei 20 pezzi che servirono da modello a Stravinski, e che allora erano erroneamente attribuiti al compositore italiano, al pari di tante altre composizioni.
Come Stravinski abbia trattato il materiale dato, si può analizzare soltanto facendo un accurato confronto tra il modello e la rielaborazione. In ogni caso, egli ha fatto molto di più che una semplice orchestrazione e un raggruppamento di pezzi appropriati in forma di suite, come Diaghilev aveva pensato (“egli si era aspettato un’istrumentazione molto ben forbita di qualcosa di molto piacevole”). Stravinski – per citare qui solo pochi tratti caratteristici del suo procedimento di rielaborazione – ruppe spesso la regolare struttura dei periodi musicali, abbreviò, ricompose, mise insieme come in un collage pezzi del tutto eterogenei, introdusse cambiamenti di misura e alterazioni ritmiche, infine straniò suono e armonia.
Claudio Abbado
Così il Pulcinella è uno Stravinski autentico, anche se soltanto poche battute sono state davvero composte di sana pianta. “Soltanto rispetto” – disse Stravinski – “è sempre sterile, non può mai agire come elemento creativo… Io
sono invece dell’opinione che il mio comportamento di fronte a Pergolesi è l’unico produttivo che si può adottare con la musica antica”. Così non è neppure semplice malizia se Stravinski alcuni decenni più tardi disse: “Pergolesi? Pulcinella è l’unica sua opera che mi piaccia”.
La trama
Pulcinella è una delle figure della Commedia dell’arte italiana; con Arlecchino, Brighella, Scapino e Scaramuccia appartiene al tipo del servitore comico, del cosiddetto “Zanni”. Pulcinella, amato particolarmente a Napoli, è di solito caratterizzato come un paesano sciocco, ma che è anche furbo e un po’ rude (In Stravinski/Massine predomina l’elemento allegro e burlesco). La partitura del Pulcinella di Stravinski non contiene indicazioni riguardanti la scena e lo svolgimento dell’azione, ma è preceduta da un breve riassunto della vicenda. Sulla base della coreografia originale di Pulcinella, di Leonide Massine, si può delineare la trama del Balletto nella maniera seguente: Scena: una strada a Napoli – case con balconi, arco di un portone. Caviello e Florindo cercano di parlare con Rosetta e Prudenza, le ragazze alle quali fanno la corte senza esser ricambiati. Entra in scena Pulcinella danzando e suonando (Allegro, n. 4, con violino solista); incanta le ragazze che subito si mettono a corteggiarlo. Pulcinella però le respinge, poiché il suo amore è tutto per Pimpinella; Pulcinella danza quindi con lei. Caviello e Florindo, gelosi, aggrediscono Pulcinella in due riprese (Allegro assai, n. 8) e sembra infine che l’abbiano ucciso. Ma Pulcinella, abilmente, si è solo finto morto e riesce a fuggire. Nel frattempo la presunta salma di Pulcinella viene trasportata e compianta in maniera solenne; un mago promette di farlo resuscitare. Quando improvvisamente si scopre che ci sono due Pulcinella – l’uno (quello vero) che sta sotto il mantello del mago, l’altro (il finto morto) che non è altro che Furbo, l’amico di Pulcinella – Pimpinella fugge spaventata (Tarantella, n. 12). Caviello e Florindo tornano in scena, travestiti da Pulcinella, sperando con questo espediente di aver finalmente successo con le ragazze. Così ci sono adesso ben quattro Pulcinella, che ballano con le ragazze (Gavotta, n. 15). Con un’ultima idea felice e con l’aiuto di Furbo che fa di nuovo la parte del mago, Pulcinella riesce a farsi sì che le coppie si congiungano. I testi dei brani cantati di Pulcinella sono di carattere generale e cantano sentimenti amorosi. Ad eccezione delle terzetto finale, che illustra la soluzione lieta della vicenda, essi non sono legati direttamente all’azione del Balletto. Anche le parti vocali non corrispondono ai personaggi sulla scena.
Wolfgang Domling
(Traduzione: Maria Grazia Kolling-Bambini)
“Jeu de Cartes” (Gioco di carte) fu scritto nel 1936 su incarico dell'” American Ballet New York”, che si era da poco costituito, e fu rappresentato per la prima volta nell’aprile 1937 al Metropolitan di New York con la coreografia di George Balanchine.
Stravinski intendeva riprodurre sulla scena una partita a carte: “in tre mani” (tre movimenti legati l’uno all’altro, non separati tra loro da pause) diverse figure – regine, fanti, assi, ecc. e soprattutto l’insolente Jolly – fanno il loro gioco. La cornice esteriore e le cesure interne dell’azione scenica sono costituite dai momenti – simboleggiati da un motivo di marcia – in cui le carte vengono mischiate. Tra una mischiata e l’altra si svolgono le più disparate azioni di gioco, cui fa riscontro una ricca serie di mutevoli gruppi coreografici e situazioni musicali. Ma per Stravinski “Jeu” è non solo il soggetto del Balletto, questo titolo significa infatti per lui anche gioco compositivo con figure, colori emotivi tratti dalla storia della musica. Già in precedenza, per esempio in “Pulcinella”, nell’opera da camera “Mavra” o nel “Baiser de la Fée” (Il bacio della fata), egli aveva citato motivi tratti da composizioni di quegli antichi maestri che gli erano particolarmente cari. Simili citazioni si configurano in parte come riproposizioni più o meno straniate di un modello concreto, in parte solo come reminiscenze allusive di certi stili del passato o come ricordi motivici appena avvertibili.
Questo elemento giocoso è qui sviluppato da Stravinski con particolare intensità: in un passaggio il modello è riconoscibile chiaramente e senza possibilità di equivoci, e precisamente nella citazione di tono ciarliero ed umoristicamente modificata della Sinfonia del “Barbiere di Siviglia” di Rossini (poco prima della conclusione del Balletto); in altri passaggi però c’è solo un ricordo assai vago del modello, per esempio quando i violini improvvisamente intonano un frammento del “Pipistrello”. L'”Allegretto scherzando” dell’Ottava sinfonia di Beethoven lascia le sue labili tracce quando nella prima variazione della “Seconda mano” risuona un’insistente figura d’accompagnamento in semicrome ed ancora un’altra figura in staccato dagli archi. E così si potrebbero portare altri esempi, dai “Quadri di un’esposizione” di Mussorgski, da “La Valse” di Ravel a Ciaikovskij, Delibes, ecc.
Anche qui dunque, come del resto in numerose sue composizioni, Stravinski avvia un dialogo con il passato, un dialogo affettuoso e parodistico, in cui tiene presente diverse maschere, ma senza addivenire mai ad una mera copia stilistica o ad una insignificante contraffazione. Come Picasso, con cui lo si è sempre paragonato (e sempre a ragione), Stravinski fa delle idee imitate i propri materiali compositivi, che impiega in un modo affatto individuale: modificandoli, allineandoli e combinandoli reciprocamente, ed appunto
“giocandovi”.
Viene qui alla mente il bell’aforisma di Jean Cocteau: “Un artista originale è incapace di copiare. Affinché risulti originale, è dunque sufficiente che egli si provi a copiare qualcosa”. Per Stravinski il “gioco” con i modelli storici diviene celatamente un procedimento creativo: il suo ricordare non è mai solo un abbandono nostalgico, ma sempre un impegno per una nuova creazione sulla base di antiche fonti. Inteso in tal modo, il suo “neoclassicismo” sta addirittura a significare una forma di avanguardia.
Volker Scherliess
(Traduzione: Gabriele Cervone)
Pulcinella: Balletto in un atto con canto
«Pulcinella fu la mia scoperta del passato, l’epifania attraverso la quale tutto il mio lavoro ulteriore divenne possibile. Fu uno sguardo all’indietro – la prima di molte avventure amorose in quella direzione – ma fu anche uno sguardo allo specchio».
A quella scoperta del passato fu poi dato il nome di neoclassicismo, una definizione che rischia di rendere gelide e accademiche quelle che Stravinsky considerava “avventure amorose” (dunque non veri amori, ma avventure, e tante: un libertinaggio a tutto campo, che dopo il Pergolesi di Pulcinella lo spinse a rivolgere le sue non disinteressate attenzioni a Cajkovskij, a Rossini, a Bach e ad altri ancora). Ma piuttosto che allungare lo sguardo su quello che sarebbe successo dopo Pulcinella, è bene cominciare a vedere quello che era avvenuto prima, per capire quanto deve essere stato sorprendente per i suoi contemporanei quest’improvviso interesse di Stravinsky per la grande civiltà musicale dei secoli precedenti.
Tra il 1910 e il 1913, con L’oiseau de feu, Petrouchka e Le sacre du printemps, Stravinsky aveva dato uno scossone alle abitudini d’ascolto del pubblico della ville lumière che, dopo essere appena riuscito a digerire le delicate nuances timbriche e armoniche di Debussy, si era trovato improvvisamente a doversi confrontare con colori barbarici, ritmi violenti e scale evocanti mondi primitivi estranei alla civiltà musicale occidentale. Subito dopo, la guerra del 1914-1918 aveva frapposto grossi ostacoli all’attività di quel giovane “barbaro” venuto dalla Russia, tanto che il Sacre stesso non fu stampato che nel 1921, mentre Renard e Les noces, nonostante fossero stati già completati durante la guerra, poterono avere la prima rappresentazione pubblica rispettivamente nel 1922 e nel 1923: ma nel frattempo, il 15 maggio 1920, Stravinsky aveva presentato Pulcinella all’Opera, riuscendo nuovamente a sorprendere il suo pubblico con un’altra rivoluzione, più tranquilla e pacifica della precedente ma altrettanto inaspettata.
George Balanchine
Di tali cambiamenti di fronte sono capaci le persone che hanno un innato senso teatrale, come i grandi artisti, o un infallibile intuito tattico, come i grandi politici: fu anche grazie a queste doti che Stravinsky riuscì a prendere le redini del mondo musicale e a mantenerle per mezzo secolo. Pulcinella segnò un discrimine non soltanto nell’arte di Stravinsky ma in tutta la musica del ventesimo secolo. Eppure (ma questo è tipico delle “avventure amorose”) era nato in modo totalmente casuale: galeotto era stato ancora una volta Diaghilev, il geniale impresario dei “Ballets russes”, che aveva sottoposto al compositore una serie di composizioni di Pergolesi (o a lui erroneamente attribuite) perché ne ricavasse un balletto su una trama ispirata a un canovaccio napoletano del 1700. L’impresario dei “Ballets russes” voleva ripetere il successo delle Donne di buonumore e della Boutique fantasque, due balletti su musiche rispettivamente di Domenico Scarlatti e di Rossini, da lui commissionati a Vincenzo Tommasini e Ottorino Respighi negli anni immediatamente precedenti: a Stravinsky, come ai due compositori italiani, chiedeva soltanto di restaurare quelle antiche musiche con un’orchestrazione abile e aggiornata.
Le sue indicazioni, precise e vincolanti quanto alle linee generali del balletto, erano invece elastiche riguardo alla realizzazione pratica, e questo permise a Stravinsky d’affermare la propria genialità e d’emergere sui due compositori di cui Diaghilev si era precedentemente servito. Mentre Tommasini e Respighi si erano limitati a una libera trascrizione, Stravinsky con pochi tocchi diede un’impronta assolutamente personale alle musiche di Pergolesi, assimilandole così totalmente che spesso si è tentati di riconoscere la sua mano anche in passaggi che sono invece rimasti sostanzialmente immutati rispetto all’originale settecentesco. Stravinsky stesso osservò che «la cosa più notevole di Pulcinella consiste non tanto nel rilevare quanto sia stato aggiunto e cambiato, ma quanto poco». Le linee melodiche di Pergolesi non sono modificate ma tutt’al più integrate qua e là da alcuni passaggi di raccordo e anche i bassi sono sostanzialmente rispettati, eppure il contributo di Stravinsky è essenziale: infatti, se alcuni pezzi sono rimasti così com’erano senza mutarne la forma, altri vengono del tutto riplasmati, la veste strumentale è interamente rifatta, dissonanze e note “sbagliate” s’infiltrano nell’armonia settecentesca e la regolarità ritmica viene spezzata da accenti spostati, sincopi e tempi bruscamente interrotti. Il risultato è un intrigante e stimolante gioco di scambi e di rimandi, in cui Pergolesi non è più Pergolesi, Stravinsky non è più Stravinsky e diventa difficile se non impossibile capire a chi dei due attribuire la paternità di ciò che si sta ascoltando, se al compositore del Settecento o a quello del Novecento.
Parallelamente alla musica, anche la veste teatrale di questo “balletto con canto in un atto” presentava un simile connubio di moderno e d’antico, perché coreografia e scene erano di Leonide Massine e di Pablo Picasso, mentre il soggetto era ricavato da un canovaccio napoletano ancora più antico di Pergolesi: tutte le ragazze del paese sono innamorate di Pulcinella e i loro fidanzati gelosi s’accordano per ucciderlo, ma l’astuto Pulcinella si fa rimpiazzare da un amico, Furbo, che finge di morire sotto i colpi dei rivali. Pulcinella stesso si traveste da mago e viene a resuscitare il suo sosia. Quando i giovani, che credono d’essersi sbarazzati di lui, si presentano alle loro fidanzate, il vero Pulcinella appare e sistema tutti i matrimoni: egli stesso sposa Pimpinella, con la benedizione di Furbo, ora travestito a sua volta da mago.
La partitura prevede un’orchestra di dimensioni e trasparenza settecentesche (notare che un concertino di cinque soli si stacca dalle file degli strumenti ad arco, secondo lo stile del Concerto grosso) e consta di una breve ouverture e di otto scene. Le musiche di Pergolesi che vi vengono travasate sono numerose, perché alcune scene ne utilizzano più d’una: in realtà soltanto nove di questi pezzi sono autentici (sono tratti dalle opere Il Flaminio, Lo frate ‘nnammorato e Adriano in Siria e da una Sonata per violoncello e basso continuo) mentre gli altri fanno parte della grande quantità di falsi pubblicati sotto il nome di Pergolesi subito dopo la sua precoce morte. Autentiche o meno che fossero quelle musiche, Stravinsky vi trovò quel che cercava: un Settecento napoletano sprizzante vivacità ritmica, schiettezza popolaresca e gestualità vivacissima. Tutta quella musica gli sembrava animata da ritmi danzanti, che egli assorbì nel suo Pulcinella che, pur essendo infinitamente meno violento e aspro del Sacre du printemps, è egualmente innervato da una pulsazione ritmica irrefrenabile e tagliente.
Questa musica costruita sulla base di una musica preesistente non è un pastiche o un ibrido stilistico, perché quando «i vocaboli formali del passato vengono completamente rifusi nel crogiuolo della sensibilità e del gusto di un artista appartenente ad un’epoca posteriore, essi possono benissimo ricevere una nuova investitura significativa e comporsi in opere nuove e originali» (Roman Vlad). Una tale capacità di forgiare il nuovo a partire dalla tradizione è un aspetto fondamentale e modernissimo del camaleontico genio di Stravinsky.
Testo
N. 2 – Tenore
Mentre l’erbetta
pasce l’agnella,
sola soletta
la pastorella
tra fresche frasche
per la foresta
cantando va.
N. 7 – Soprano
Contenta forse vivere
nel mio martir potrei,
se mai potessi credere
che, ancor lontan, tu sei
fedele all’amor mio,
fedele a questo cor.
N. 9 – Basso
Con queste paroline
così saporitine,
il cor voi mi scippate
dalla profondità.
Bella, restate qua,
che se più dite appresso
io certo morirò.
Così saporitine
con queste paroline
il cor voi mi scippate,
morirò, morirò.
N. 10 – Terzetto (Soprano, Tenore, Basso)
Sento dire no’ncè pace
Sento dire no’ncè cor,
ma cchiù pe ‘tte no, no.
no’ncè carma cchiù pe’tte.
Tenore (solo)
Chi disse cà la femmena
sa cchiù de farfariello
disse la verità, disse la verità.
Duetto (Soprano e Tenore) Soprano
Ncè sta quaccuna po’
che a nullo vole bene
e a cciento nfrisco tene
schitto pe’scorcoglià.
e a tant’autre malizie
chi maie le ppo’, le pp’o conta.
Tenore
Una te fa la nzemprece
ed è malezeosa,
‘n autra fa la schefosa
e bo’lo maretiello,
Chi a chillo tene ‘ncore
e a tant’autre malizie
chi maie le ppo’, le ppo’ conta,
e lo sta a rrepassa’.
Tenore (solo)
Una te fa la nzemprece
ed è malezeosa,
‘n autra fa la schefosa
e bo’eo maretiello,
ncè sta quaccuno po’
che a nullo – udetene –
chi a chillo tene ‘core
e a cchisto fegne amore
e a cciento nfrisco tene
schitto pe’ scorcoglià
e tante, tant’autre malizie
chi maie le ppo’ conta’.
N. 13 – Soprano
Se tu m’ami, se tu sospiri
sol per me, gentil pastor,
ho dolor de’ tuoi martiri,
ho diletto del tuo amor,
ma se pensi che soletto
io ti debba riamar,
pastorello, sei soggetto
facilmente a t’ingannar.
Bella rosa porporina
oggi Silvia sceglierà,
con la scusa della spina
doman poi lo sprezzerà.
Ma degli uomini il consiglio
io per me non seguirò.
Non perché mi piace il giglio
gli altri fiori sprezzerò.
Leonide Massine
N. 17 – Terzetto (Basso, Tenore, Soprano)
Pupillette, fiammette d’amore
per voi il core struggendo si va.
Jeu de cartes: Balletto in tre atti
Nel 1935, durante un soggiorno negli Stati Uniti, Stravinsky ricevette l’invito da Edward Warbung e Lincoln Kirstein per scrivere una partitura a beneficio dell’American Ballet che si era costituito da poco tempo e di cui era coreografo Georges Balanchine. La scelta del soggetto fu demandata al libero arbitrio del compositore. E Stravinsky non si smarrì certo d’animo né perse tempo al riguardo.
Da tempo egli aveva coltivato il progetto di scrivere un balletto sull’intarsio di certe combinazioni numeriche, qualcosa come le Chiffres dansants che rimandavano alle Lettres dansantes di Schumann. In tale prospettiva, come ha scritto Eric Walter White, «l’azione doveva esser implicita nella musica, e uno dei personaggi avrebbe dovuto essere una forza del male, la cui sconfitta finale avrebbe conferito al lavoro un carattere morale» (1966).
Al momento d’accingersi però a stendere la sceneggiatura, Stravinsky mutò d’avviso sul soggetto. E decise di rifarsi a certe esperienze personali in tema di giochi. Rammentò, secondo la testimonianza di Alexandre Tansman, che «era sua abitudine rilassarsi dopo il pranzo con gli scacchi cinesi. Un altro gioco però l’aveva sempre coinvolto assiduamente, il poker, e proprio sul poker si orientò a formulare la sceneggiatura del nuovo balletto». Ancora una volta l’esperienza autobiografica, trattata comunque con un certo distacco e rivista con la consueta, notevole dose d’ironia verso se stesso e d’umorismo corrosivo, risultò la carta vincente: «Sono sempre stato attratto – scrisse Stravinsky in Themes and conclusions (1972) – dal gioco d’azzardo e ho giocato a carte per buona parte della mia vita… Le origini del balletto, nel senso della mia attrazione verso questo soggetto, sono tuttavia precedenti alla mia esperienza di giocatore, e si possono far risalire probabilmente alla mia infanzia, durante le vacanze in una stazione termale tedesca. La mia prima impressione di un casinò è tuttora vivamente impressa nella memoria: le lunghe file di tavoli e i giocatori di roulette, baccarat o whist… Mi ricordo ancor oggi, come il giorno in cui scrissi la musica, il modo in cui il maestro di cerimonia di una di queste sale annunciava, con una voce da trombone, Ein neues Spiel, ein neues Gluck (Un nuovo gioco, una nuova fortuna). Il ritmo e la strumentazione del tema con cui inizia ognuna delle tre “mani” del mio balletto sono l’eco o l’imitazione del tempo, del timbro, in effetti dell’intero carattere di quell’enfatico proclama».
La composizione di Jeu de cartes fu avviata e condotta a termine entro la fine del 1936, durante il soggiorno parigino a Faubourg St. Honoré, con l’eccezione d’un breve episodio scritto a bordo della nave “Kap Arcona” nel corso del viaggio intrapreso tra Boulogne e Buenos Aires, senza l’ausilio del pianoforte. Ultimato il lavoro, la partitura venne mandata a New York per la realizzazione coreografica di Balanchine. L’argomento, come ricordò il musicista in un’intervista al quotidiano parigino “Le Jour” del 3 febbraio 1938, «venne in mente una sera in un fiacre mentre mi recavo a far visita ad alcuni amici: ne fui così contento che feci fermare il vetturino e lo invitai a bere con me». Jean Cocteau, invitato a collaborare alla stesura, declinò e fu lo stesso Stravinsky a provvedere all’uopo assieme a Malaieff, un amico di casa. In partitura fu vergato quest’argomento: «I personaggi del balletto sono le principali carte del gioco del Poker, cui partecipano parecchie persone al tavolo verde di una sala
da gioco. A ogni mano la situazione è resa più complessa dalla scaltrezza senza fine del perfido Jolly che si crede invincibile per la sua possibilità di diventare qualsiasi carta si voglia. Durante la prima mano, uno dei giocatori è sconfitto, ma gli altri due restano con “scale” alla pari, sebbene uno di loro possegga il Jolly. Nella seconda mano il giocatore che ha il Jolly vince grazie a quattro assi che facilmente sconfiggono quattro Regine. Viene ora la terza mano. L’azione diventa sempre più tesa. Questa volta c’è una lotta fra tre “colori”. Benché all’inizio sia vittorioso su un avversario, il Jolly, panneggiandosi in testa ad una sequenza di Picche, è battuto da una “scala reale” di Cuori. Questo pone fine alla sua malizia e vanteria».
A metà delle prove giunse a New York Stravinsky e intervenne per modificare il disegno coreografico di Balanchine, obiettando che c’era «una sovrabbondanza di invenzione fantasiosa, con i danzatori a ventaglio a simulare le carte tenute in mano». Un altro suo intervento fu sui costumi: non volle quelli ispirati ai tarocchi medievali perché «avrebbero collocato il lavoro in un periodo ben definito e avrebbero evocato una qualità figurativa non presente nella musica». In luogo d’essi, ne furono realizzati altri da Irene Sharaff su mazzi di carte ordinari, acquistati dal “drugstore” all’angolo.
La prima rappresentazione assoluta di Jeu de cartes andò in scena al Metropolitan il 27 aprile 1937, con l’autore sul podio è con William Bollar nella parte del Jolly. In termini coreografici l’articolazione di Jeu de cartes è la seguente, con la premessa che ad ogni carta corrisponde un danzatore e che «i ruoli maschile e femminile sono per il compositore ciò che il forte e il piano erano nei concerti grossi del diciottesimo secolo» e che una fanfara degli ottoni segna l’inizio di ogni “mano”. Prima mano: Introduzione (Alla breve), Pas d’action (Meno mosso), Danza del Jolly (Moderato assai), Valzer-Coda (Stringendo-Tranquillo), Seconda mano: Introduzione (Alla breve), Marcia (Cuori e Picche), Quattro variazioni solistiche per le Regine di Cuori, Quadri, Fiori, Picche (Allegretto), Quinta variazione (Sostenuto e pesante) e Coda (Più mosso), Marcia e Ensemble (Con moto). Terza mano: Introduzione (Alla breve), Valzer-Minuetto, Battaglia fra Picche e Cuori (Presto), Danza finale (Leggiero grazioso) e Trionfo dei Cuori (Tempo del principio).
Igor Stravinsky
La musica è senza interruzioni, in un clima prevalentemente allegro e ricco di allusioni, come appare dalla magistrale qualità, lieve ed ironica, della scrittura strumentale. In un contesto «costruito con i cascami di tutte le musiche cosiddette brillanti del secolo scorso, cementati assieme in una stregonesca alchimia. Dopo la solennità ruvida e un po’ arcaica dell’introduzione, fondata su aspri accordi di settima e di quinta, gli elementi del discorso musicale vengono desunti a volta a volta dal sentimentalismo floreale di Cajkovskij, o dal rimbombante slancio del valzer viennese, dal lascivo indugio cromatico di sollecitazioni ritmiche da danze della belle époque alla provocante citazione rossiniana della Sinfonia del Barbiere, piegata nell’ultimo quadro a un significato di quasi drammatica agitazione.
Piccoli passettini ritmo-melodici di minima estensione, che sembrano dettati alla musica dalla natura stessa della danza sulle punte, sviolinate solistiche di bravura dal piglio quasi zigano, rauchi echi di corni straussiani evocanti l’intenerimento patetico di gaudenti sentimentali, il fuoco di Weber e l’eleganza asciutta di Ravel entrano in quelle cinque prestigiose Variazioni che costituiscono il nucleo del secondo quadro. Tutti questi elementi, malinconici residui di ciò ch’era stata la gaiezza musicale di un’epoca, sono triturati e saldati insieme, in prodigiosa unità stilistica, dall’unico comun denominatore del ritmo: quel ritmo stravinskiano a macchina da cucire» (M. Mila in Compagno
Strawinsky, Torino, 1983). In Jeu de cartes la cifra neoclassica dell’ultimo periodo europeo di Stravinsky attinge, per concludere, la sua più alta, e stravolta, realizzazione culturale.