Vivaldi Antonio

Gloria – Magnificat

Registrazione eseguita nel 1977 e rimasterizzazione effettuata nel 1987.

Gloria in re maggiore, RW 589

Nel 1713 Francesco Gasparini, “maestro di coro” all’Ospedale della Pietà di Venezia, ottiene licenza di assentarsi temporaneamente dalla città per tornare a Roma ad occuparsi di “premurosi affari della sua casa”. Vivaldi, a quel tempo, operava già alla Pietà come “maestro, di strumenti” con l’incarico di insegnare alle “putte” il violino e la viola all’inglese. Fra i due incarichi vi era una sostanziale differenza: infatti mentre il “maestro di strumenti” aveva soprattutto una responsabilità di ordine didattico e non era tenuto a scrivere musica, il “maestro di coro” doveva soddisfare anche impegni di ordine artistico- compositivo.
Quando Gasparini, poco tempo dopo, comunicherà la sua intenzione di non ritornare più in laguna, i Governatori nomineranno come suo sostituto Pietro Scarpati ma decideranno anche di affidare a Vivaldi il compito di provvedere alla composizione di musiche liturgiche e Concerti. Nel giugno 1715 gli viene riconosciuto un compenso speciale di 50 ducati per aver composto: “una Messa intera, un vespero, un oratorio, più di 30 mottetti ed altre fatiche”.
Questa attività viene poi definitivamente ufficializzata nel 1716, quando il prete rosso ottiene il titolo di “maestro dei concerti” con il compito di scrivere lavori appositamente per le musiciste della Pietà. A quell’anno risalgono il Concerto RV 172 scritto per Pisendel, l’oratorio sacro Juditha Triumphans e l’opera Arsilda Regina di Ponto. Secondo gli studi condotti da Paul Everett sulle carte e sui pennini, al 1716 apparterebbe anche il Gloria RV 589, il cui autografo è conservato nel preziosissimo Fondo Foa-Giordano della Biblioteca Universitaria di Torino [Giordano 32-4].
Le opere sacre vivaldiane su testi liturgici rientrano in tre categorie: parti di messe, salmi per Vespri (più il responsorio Domine ad adiuvandum e il Magnificat) e inni. Benché siano stati fatti tentativi di raggruppare le parti di messe e i salmi in un insieme più ampio, i risultati, data l’estrema frammentazione del materiale giunto fino a noi, sono assai poco convincenti.
Per quanto riguarda le sezioni della Messa abbiamo a disposizione solo un Kyrie in sol minore (RV 587) per doppio coro, archi e continuo, un Credo in mi minore (RV 591) per soli, coro, archi e continuo e due versioni del Gloria, entrambe in re maggiore, RV 588 e 589. Le due versioni sono assai imparentate, fino a collimare in alcuni momenti nelle scelte compositive e anche nel materiale musicale utilizzato.
Il Gloria RV 589 è senz’altro una delle pagine più avvincenti e conosciute del musicista veneziano: l’organico prevede un coro a quattro parti, due soprani, un contralto, oboe, tromba, archi e basso continuo. Il testo è organizzato in 12 sezioni che si alternano in una varietà di forme, di tempi, di ritmi, di tonalità e di organico: brani solistici nello stile dell’aria, strumenti concertanti, cori omofonici, contrappunti, ritornelli nello stile del Concerto. L’unitarietà del lavoro viene garantito dalla ripresa, nel penultimo movimento, dello stesso tema iniziale in una sorta di circolarità strutturale.
L’opera si apre con una incalzante e trionfale introduzione orchestrale su un tema incisivo e ritmico (con salto di ottava) degli archi bassi al quale risponde un disegno più scorrevole proposto prima dai violini e poi dai fiati; su questo deciso andamento si innesta la maestosa entrata omoritmica del coro, Gloria in excelsis, che si amalgama e si alterna con l’orchestra secondo i tipici dettami dello stile sacro concertato.

Teresa Berganza

Con il versetto Et in terra pax l’atmosfera cambia radicalmente; protagonista e sempre il coro (questa volta trattato contrappuntisticamente) ma con accenti e modulazioni di intimismo sofferto.
Il Laudamus te è sostanzialmente un duetto per due soprani con l’accompagnamento di archi e continuo; il clima è festoso e la chiarezza formale della pagina è assicurata dalla ripresa cadenzata del ritornello strumentale.
Torna il coro con un lento e omofonico Gratias agimus tibi che si trasforma immediatamente in un perfetto fugato a quattro voci (Propter magnam gloriam tuam).
Il Domine Deus Rex Coelestis è una delicata aria in do maggiore affidata ai soprani; la concertazione con l’oboe dona a questa pagina una idilliaca atmosfera pastorale avvallata anche dal ritmico andamento “alla siciliana”. È nuovamente il coro a riprendere la parola in compagnia degli archi: il Domine Fili Unigenite è retto da un incisivo ritmo puntato con un ampio ricorso alla tecnica imitativa del canone.
Un bellissimo tema affidato ai bassi sorregge il Domine Deus, agnus Dei sul quale si libra l’intensa voce del contralto punteggiata da accorati interventi invocativi del coro (“miserere nobis!”). Coro a cui è lasciata la pagina successiva, Qui tollis, dal carattere assorto e intimamente spirituale: voci e orchestra procedono insieme solennemente e mestamente, come in un corale luterano.
Lo stile maestoso dell’inizio comincia a riapparire nel Qui sedes ad dexteram patris strutturato nella forma del Concerto: un ampio ritornello dell’orchestra introduce l’aria del contralto che dialoga con la compagine strumentale in una sorta di rinnovata alternanza solo-tutti.
Il circolo quindi si chiude sul Quoniam tu solus sanctus che è in realtà una sintesi del materiale utilizzato nel primo movimento e ha il compito di introdurre la solenne fuga finale, Cum Sancto Spiritu. Quest’ultimo brano però, che conclude anche l’altro Gloria RV 588, non è opera di Vivaldi; si tratta infatti di una sezione di Gloria scritta da Giovanni Maria Ruggieri nel 1708 e solo ricopiata dal compositore veneziano.

Testo

  1. Coro [Allegro]

    Gloria in excelsis Deo

  2. Coro [Andante]

    Et in terra pax hominibus

  3. Aria [Allegro] – Due soprani Laudamus te, benedicimus te, adoramus te, glorificamus te.

  4. Coro [Adagio] Gratias agimus tibi

  5. Coro [Allegro]

    Propter magnam gloriam tuam.

  6. Aria [Largo] – Soprani Domine Deus, Rex coelestis, Deus Pater omnipotens,

  7. Coro [Allegro]

    Domine Fili unigenite Jesu Christe,

  8. Aria [Adagio] – Contralto e Coro Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris. Qui tollis peccata mundi,

    miserere nobis

  9. Coro [Adagio] Qui tollis peccata mundi, miserere nobis,

    suscipe deprecationem nostram.

  10. Aria [Allegro] – Contralto Qui sedes ad dexteram patris, miserere nobis.

  11. Coro [Allegro]

    Quoniam tu solus sanctus,

    tu solus Dominus,

    tu solus altissimus Jesu Christe.

  12. Coro [Allegro]

    Cum Sancto Spiritu in gloria Dei Patris, Amen.

Magnificat, RW 611

Musicista dotato di straordinaria potenza creativa, Vivaldi compose oltre 450 concerti destinati a tutti gli strumenti (violino, violoncello, viola d’amore, flauto, oboe, corno, clarinetto, clavicembalo, organo) impiegati sia individualmente che in gruppo.

Lucia Valentina Terrani

Grandissimo violinista, oltre che compositore, direttore d’orchestra, insegnante e addirittura impresario teatrale, egli diede un contributo importante e decisivo per la formulazione e la determinazione delle leggi classiche del concerto solistico. Sviluppò enormemente la tecnica strumentale e finì col trasformare il concerto grosso di impianto barocco in concerto solistico ed anche in vero e proprio concerto per orchestra. Secondo un’opinione accettata e sostenuta da vari musicologi italiani, francesi e tedeschi, Vivaldi va collocato tra i pionieri della sinfonia, in quanto i suoi «concerti a molti strumenti» hanno le caratteristiche embrionali di questa forma musicale. Per questa ragione la fama del «prete rosso», quando era in vita, fu enorme in Germania, in Francia, in Inghilterra e nei Paesi Bassi e molti fra i più grandi compositori e strumentisti del tempo, a cominciare da Johann Sebastian Bach, guardarono a lui come a un maestro. Basti dire che di tredici concerti vivaldiani per violino Bach fece altrettanti concerti per organo, per clavicembalo e per quattro clavicembali.
Esuberanza di fantasia inventiva ed eccezionale sensibilità timbrica sono alla base della musica di Vivaldi, sempre caratterizzata da una nettezza del disegno melodico, da un’agilità di fraseggio e da una vivacità di contrasti ritmici. La sua
scrittura musicale è sempre chiara e trasparente sia nei tempi lenti che in quelli allegri; certi adagi dei suoi concerti rivelano una sorprendente concentrazione emotiva e una efficace essenzialità espressiva, così da raggiungere quella «nuovissima maniera di composizione», tanto esaltata dal famoso flautista di Federico il Grande, Johann Joachim Ouantz, che aveva ascoltalo Vivaldi in un concerto da questi tenuto a Roma. La raccolta che va sotto il titolo di “Estro armonico” pubblicata ad Amsterdam nei 1712, “Il Cimento dell’Armonia e dell’lnventione” (1725), comprendente fra l’altro ì celeberrimi concerti che prendono il nome delle stagioni, i dodici concerti dell’opera IV chiamati “La Stravaganza” (1712-1713) e i dodici dell’op. IX intitolati “La Cetra” (1728) restano documenti di una civiltà musicale di altissimo livello, i cui valori storici ed estetici la recente critica vivaldiana ha messo degnamente in luce, rivelando in pari tempo la profonda ingiustizia di una sorte che per lunghi anni aveva steso un velo di ingiustificato silenzio su un’arte di prima grandezza.
Del resto, sempre per rimanere nel tema dell’ingiustizia, ci sono diversi musicisti à la page che non hanno ben compreso il messaggio vivaldiano, e tra questi va collocato in prima linea Stravinsky, che espresse un giudizio tagliente e unilaterale sull’opera del “prete rosso”, circolante anni fa nei salotti intellettuali. «On a beaucoup troup loué Vivaldi – disse l’autore della Sagra della primavera – Il est assomant et pouvait recomposer six cents fois le mème concert». Tale affermazione non è esatta perché anche se lo schema formale del concerto vivaldiano resta sostanzialmente identico, variano gli elementi melodici e ritmici, dettati da una invenzione musicale che si rinnova come una forza della natura.

***

Non meno importante della produzione strumentale è quella sacra di Vivaldi, comprendente composizioni nel rispetto delle forme tradizionali, ma contrassegnate da una accentuata varietà nell’armonizzazione delle voci, particolarmente espressive nei momenti di maggiore espansione polifonica, come attesta il superbo Magnificat e giustamente esaltato insieme al luminoso Gloria. Del Magnificat esistono due versioni: la prima per due soprani, contralto, tenore, coro, due oboi, archi e continuo, mentre la seconda è per soprano, contralto, tenore, archi e continuo, abitualmente preferita per una più equilibrata elaborazione corale e solistica, pur nella valorizzazione di quella pratica polifonica che resta uno degli aspetti più rilevanti dello stile vivaldiano.

Riccardo Muti

Testo

Adagio
Magnificat anima mea Dominum.

Allegro
Et exultavit spiritus meus in Deo salutari meo.
Quia respexit humilitatem ancillae suae:
ecce enim ex hoc beatam me dicent ornnes generationes. Quia fecit mihi magna qui potens est et sanctum nomen ejus.

Andante molto
Et misericordia ejus a progenie in progenies timentibus eum.

Presto
Fecit potentiam in brachio suo: dispersit superbos mente cordis sui.

Allegro
Deposuit potentes de sede et exaltavit humiles.

Allegro
Esurientes implevit bonis et divites dimisit manes.

Largo
Suscepit Israel puerum suum, recordatus rnisencordiae suae.
Allegro ma poco
Sicut locutus est ad patres nostros Abraham, et semini ejus in saecula.
Largo
Gloria Patri, et Filio, et Spiritui Sancto Sicut erat in principio, et nunc, et semper, et in saecula saeculorum. Amen.