Vivaldi Antonio

La Stravaganza

Questa è una splendida interpretazione de «La Stravaganza» vivaldiana. L’orchestra di St. Martin in the Fields è un gruppo superbo e Neville Mariner sa come ottenere il meglio da loro. Il suono è grande e l’interpretazione musicale fantasiosa e avvincente. Se acquisterete questa registrazione non vi deluderà. Registrazione eseguita nel 1975 e rimasterizzazione effettuata nel 1995.

Antonio Vivaldi – La Stravaganza, op. 4

Il titolo di La Stravaganza presenta più problemi di comprensione oggi che non all’inizio del Settecento, quando compositori ed esecutori venivano celebrati per le loro stravaganze, il loro exploits nel contenere l’inatteso e il bizzarro entro le forme canonizzate. Già da parecchi anni si erano usati titoli simili: le Consonanze stravaganti di De Macque, Trabaci e Del Buono avevano fissato il significato del termine durante il secolo precedente, nel senso di stravaganze armoniche che superavano perfino le audacità cromatiche dei madrigali di Gesualdo, mentre il Capriccio stravagante di Carlo Farina, pubblicato nel 1627, impiegava ogni possibilità della nuova tecnica violinistica a scopi programmatici estremi, inclusa l’imitazione di cani e gatti.
I dodici concerti della Stravaganza di Vivaldi sono caratterizzati soprattutto dalla loro audacia armonica e bizzarro sviluppo; essi dimostrano anche tuttavia la meticolosità con cui Vivaldi sceglieva e raggruppava i brani atti alla pubblicazione – nonostante egli affermasse di poter comporre, in condizioni normali, un concerto in tutte le sue parti in meno tempo di quanto non ci volesse per ricopiarlo. In ognuno di questi concerti egli propone una soluzione attentamente calibrata al problema di come evitare la perfidia – il contrario della stravaganza, definibile come la tendenza alla monotonia di intarsio, forma e ritmo.
Vivaldi decide di suscitare e poi confutare tutte le aspettative che il pubblico si sarebbe atteso dal concerto tradizionale concepito da Corelli, o dalle precedenti raccolte vivaldiane.
La sua imprevedibilità è però ben lungi dal bizzarro, dato che l’organizzazione della raccolta è nel suo insieme tanto meticolosa quanto quella dell’Opera 3. Ove L’estro Armonico era strutturato in gruppi ternari con varie combinazioni solistiche, La Stravaganza è scandita binariamente, con l’alternarsi di maggiore e minore, e con l’espediente già impiegato nell’Opera 3 per finire in maggiore. Entro a quest’ossatura ordinata, comunque, troviamo meno uniformità e un’ampia varietà di allusioni che contribuiscono ad affermare il carattere idiosincratico della stravaganza vivaldiana.
La serie comprende elementi sia del concerto grosso (sebbene solo il N. 7 ne adotti la forma quadripartita) sia del più recente concerto per strumento solista, con la sua concomitante forma tripartita. Del gruppo, cinque (i nn. 2, 5, 8, 10 e 12) sono veri e propri concerti solistici, e in questi Vivaldi risponde alle implicazioni della forma tripartita enfatizzando il ruolo e l’ampiezza dei movimenti lenti. Mentre i predecessori come Torelli tendevano a scrivere adagi consistenti in qualche accordo di punteggiatura o poco più, Vivaldi colse l’occasione per accrescere il contrasto drammatico fra elementi solistici e del tutti.
In parecchi dei tempi lenti la parte solista si presenta talmente ornata, che ai violinisti italiani dell’epoca – abituati com’erano a improvvisare i propri abbellimenti – tale caratteristica risulta in se stessa una stravaganza. Ma se si deve citare uno dei concerti come esempio dello stile “stravagante”, il candidato maggiore sarà il N. 8. Questo si apre non con un gagliardo ritornello, bensì con un assolo del violino quasi atonale che si fa poi strada solo a malavoglia verso il re minore per l’entrata del ritornello aggressivo. I seguenti passi solistici si pongono in relazione ai tutti solo a distanza; e senza più sviluppare quelle idee, il solista precipita in una successione di esperimenti armonici: una battuta di Adagio, un breve Presto basato interamente su frasi di accordi, che conduce senza soluzione di continuità a un Adagio più esteso, epitome delle “modulazioni armoniche innaturali” esposte dal critico e compositore settecentesco Avison.

Neville Marriner

Contrassegnano questa parte degli archi le arcate lunghe vivaldiane, espressione indicante la proibizione di ulteriori abbellimenti, e nel basso cifrato l’indicazione arpeggio per il cembalo. L’ultimo movimento è l’unico a iniziare in modo normale, con un tutti nello stile di un minuetto che si sviluppa in due idee contrastanti: una frase dolce sugli archi e una struttura puntata, ciascuna delle quali viene poi impiegata indipendentemente in avventurosi assoli. È sulla base di un tempo come questo che Vivaldi è stato accreditato con la preveggenza delle forme classiche, identificando la sua esposizione del tutti, lo sviluppo e il contrasto delle parti solistiche ai principi del concerto classico. Di fatto però, tenendo bene in mente il suggerimento di Quantz che “le idee migliori del ritornello possono venire spezzettate e poste tra gli assoli e al loro interno”, e rammentando anche l’ingenuità del compositore stesso nel rapportare la sua stravaganza al materiale musicale fondamentale, questo movimento può essere interpretato come l’inevitabile esito di una tipica creatività barocca.

Christopher Hogwood (Traduzione DECCA 1995)