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VERDI
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BIBLIOGRAFIA
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Quando nel 1848 moriva Donizetti, il giovane Giuseppe Verdi si avviava
a consolidare quella fama conquistata non facilmente dopo anni di
dura gavetta, quelli da lui stesso definiti gli "anni di galera".
Dalla nativa Roncole di Busseto, nei pressi di Parma, Verdi si era
spinto verso Milano dove non senza fatica era riuscito a far rappresentare
la sua prima opera "Oberto conte di San Bonifacio" (1839).
Non fu tuttavia il raggiungimento di un traguardo, poiché solo
con il "Nabucco" del 1842 Verdi colse il primo autentico
trionfo. Segue, un anno dopo, " I Lombardi alla prima crociata"
quindi "Ernani" (1844), "I due Foscari" (1844),
"Giovanna d'Arco" (1845), "Attila" (1846 ).
È questo il periodo in cui l'attività del musicista
si fa caotica, obbligato com'è a fornire opere a getto continuo
per far fronte agli impegni assunti con gli impresari. Sono anche
le opere che, più o meno direttamente, interpretano musicalmente
il risveglio politico del nostro paese nell'ambito del Risorgimento
che ambiva all'indipendenza nazionale. Ma se la musica di queste opere
a volte è stata accusata di "grossolana" superficialità,
essa contiene già il germe che darà vita alla cultura
drammaturgica verdiana.
Ne "I due Foscari", ad esempio, la figura del vecchio doge
Foscari, combattuto tra il dovere di uomo di potere ed i sentimenti
di padre, anticipa il "Simon Boccanegra" e soprattutto quelle
figure che saranno tanto care all'universo verdiano. Nel 1847 l'opera
"Macbeth" segna il primo incontro di Verdi con il genio
di Shakespeare. Verdi s'innamorò delle figure shakespeariane
stravolte dalle passioni: come Macbeth e Lady. La stesura del libretto
venne affidata a Francesco Maria Piave, sempre attento agli ordini
del Maestro. E qui si coglie un altro importante aspetto dell'arte
verdiana: la cura quasi maniacale del testo, sul quale Verdi interveniva
continuamente fino al raggiungimento dell'effetto desiderato. Non
a caso Verdi ritornerà nuovamente al "Macbeth" nel
1865, apportandovi importanti cambiamenti.
Se la produzione successiva al "Macbeth" ha esiti alquanto
alterni, "I masnadieri" (1847), "Il corsaro" (1848)
e "La battaglia di Legnano" (1849) forse risentono ancora
di una certa fretta compositiva. Dopo il rovente patriottismo de "La
battaglia di Legnano", Verdi sembra volersi concedere un momento
di pausa, ormai è un compositore affermato: si può dire
il più importante operista dopo la morte di Donizetti, avvenuta
nel 1848.
Da questo momento in poi il Maestro è la figura dominante dell'universo
operistico italiano e vista la posizione ormai raggiunta, ha la possibilità
di scegliere i soggetti drammatici a lui più congeniali e di
comporre senza il continuo assillo delle commissioni.
L'opera che generalmente viene considerata come il punto di partenza
del "nuovo" Verdi è "Luisa Miller" (1849).
In essa l'orchestrazione si è fatta più accurata e più
legata alla situazione teatrale, l'urgenza della resa drammatica diventa
sempre più evidente esprimendosi attraverso un maggior allontanamento
dagli schemi tradizionali delle cosiddette "forme chiuse".
A questo riguardo l'aria di Luisa, "Tu, puniscimi, Signore!",
è un canto immediato, sgorga dall'anima della protagonista
e non abbisogna di un recitativo preparatorio. Lo stesso ultimo atto
vuole sfuggire ad ogni prevedibile scheda: è uno scontro, un
concentrarsi delle passioni e delle emozioni dei protagonisti. Rigoletto,
Azucena e Violetta sono ormai vicinissimi!
Ed è proprio la splendida trilogia "Rigoletto", "Il
trovatore" e "La traviata" a caratterizzare gli anni
che vanno dal 1851 al 1853. Sintetizzare l'importanza di queste opere
è impresa assai ardua. Già la scelta di un soggetto
come "Rigoletto", tratto dal dramma "Le roi s'amuse"
di Victor Hugo, era un fatto quanto mai ardito che rompeva con le
convenzioni: a un tenore, il duca di Mantova, è affidato un
ruolo amorale, decisamente negativo.
Non certo positivo è anche il personaggio di Rigoletto: un
buffone, addirittura gobbo, un uomo assentato di vendetta. Ma a Verdi
interessa la psiche umana, scoprire gli aspetti negativi e positivi
racchiusi in ogni animo. Un desiderio che il compositore difenderà
sempre strenuamente, anche se da questo momento in poi le sue lotte
contro i censori saranno una costante. Grandissima è la ricerca
del colore orchestrale e soprattutto della parola scenica, di quell'accento
che deve essere una prerogativa assoluta dell'interpretazione verdiana.
Un colore orchestrale notturno, misterioso è il carattere dominante
de
"Il trovatore", ed è in un certo qual modo il colore
di Azucena, la zingara, (anche questo un ruolo tutt'altro che convenzionale)
il personaggio che tiene le fila dell'intera vicenda. Azucena vive
al di fuori dalla realtà che la circonda, in una sorta di ossessionante
delirio evidenziato da Verdi con l'uso di un linguaggio anticonvenzionale,
nulla che abbia a che fare con il concetto tradizionale di aria. Con
la "La traviata" poi Verdi porta sulle scene una storia
tristissima, una storia di disfacimento fisico e morale, di oppressione
e di immeritata condanna, lo spegnersi straziante di una creatura
umana.
Se da principio l'opera sconvolse il pubblico veneziano, divenne in
seguito, e lo è ancora oggi, una delle opere più amate
in tutto il repertorio lirico. L'alone di amore che scaturisce dalla
musica di Verdi, con il quale il compositore ha circondato Violetta
in ogni momento dell'opera, fino all'ultima nota, resta però
sempre come aforisma musicale, insuperabile ed indimenticabile, crocevia
ideale nel quale ciascuno di noi si può trovare.
Seguono, dopo "I vespri siciliani" (1855), concessione occasionale
al gusto del grand-opéra, capolavori come "Un ballo in
maschera" (1859), "La forza del destino" (1862) " e, soprattutto
"Don Carlos" (1867), opera nella quale le ragioni di Stato
e quelle del privato, alle quali Verdi ha sempre dato una grande importanza,
assumono valenze diverse: le passioni, gli ideali che animano i personaggi
rimangono delle illusioni. Tutti, da Don Carlos, allo stesso Filippo,
sono impotenti, vittime di loro stessi, di un inutile eroismo o di
un amore che hanno appena sfiorato (Elisabetta) o che non hanno neppure
avuto la possibilità di vivere (Eboli).
La complessa drammaturgia di “Don Carlos”, prelude all'intensità
espressiva di “Otello”.
In "Aida" (1871), una spettacolarità di circostanza
(era stata commissionata a Verdi per l'apertura del teatro del Cairo,
nell'ambito delle celebrazioni per l'apertura del Canale di Suez)
riesce lo stesso a far emergere i drammi dei protagonisti anche qui
degli sconfitti, senza nessuna differenza di casta, sia la schiava
Aida, o la stessa Amneris. Nessuno riesce a realizzare i propri sogni
d'amore. Con "Aida" sembra si stia come per concludere una
carriera eccezionale, ma, dopo un lungo silenzio, nasce "Otello" (1887).
Verdi torna a Shakespeare, e vi torna con una straordinaria energia:
la musica composta per "Otello", è senz'altro di
grande modernità e spesso si è avanzata l'ipotesi di
un accostamento di Verdi al mondo sonoro wagneriano.
Ma Verdi mantiene una propria autonomia espressiva: ha un uso assai
controllato dei Leitmotiv (motivo conduttore) e sebbene l'orchestra
abbia un grandissimo spessore ed una notevole ricchezza timbrica,
il primato va sempre al canto, nella più pura tradizione italiana.
Le convenzionali divisioni in duetti, arie e cabalette separate da
recitativi sono ormai state abbandonate. Tutto fluisce continuamente
secondo una concezione drammatica fattasi serrata, concisa. Grazie
anche alla mirabile caratterizzazione dei personaggi, il legame con
la tragedia shakespeariana giunge al culmine di un'incredibile compenetrazione.
Dopo aver sondato l'animo umano nei suoi aspetti più dolorosi,
Verdi sembra voler ironizzare su se stesso, sul proprio scetticismo
e lo fa attraverso il "Falstaff" (1893). Anche se la risata
è velata di malinconia, la commedia ha forse preso il sopravvento
sulla tragedia.
Maurizio Tagliabue
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